Vitamina D e patologie autoimmuni

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Illustrazione di Gianluigi Marabotti.

 

Vitamina D e patologie autoimmuni

In passato si è data importanza alla vitamina D soprattutto riguardo al suo ruolo nel mantenimento dell’omeostasi del calcio e del fosforo e nel preservare la salute delle ossa. Recenti evidenze hanno dimostrato che la vitamina D può avere un ruolo importante in un’ampia gamma di disturbi non scheletrici tra cui le patologie autoimmuni.

La presenza nell’organismo di vitamina D è dovuta in minima parte all’assunzione alimentare, la principale fonte è la sintesi cutanea che avviene in seguito all’esposizione ai raggi solari UV-B. La fotoreazione a livello dell’epidermide converte il 7-deidrocolesterolo in pre-vitamina D3 che, in seguito aisomerizzazione termica, si trasforma in vitamina D3(colecalciferolo), la quale subisce due attivazioni a livello epatico e renale per generare la forma attiva, il calcitriolo (1,25 (OH)₂D), considerata a tutti gli effetti un ormone. Nei cibi è presente soprattutto nei prodotti di origine animale quali pesce, uova, frattaglie e formaggi grassi; una volta ingerita subisce lo stesso destino metabolico della forma fotoconvertita.

Studi epidemiologici hanno riscontrato un’elevata percentuale di casi di deficienza di vitamina D nella popolazione generale, complice anche il cambiamento di abitudini della società per cui diminuiscono sempre più i momenti all’aria aperta e alla luce del sole in favore di quelli tra le mura domestiche o di un ufficio. La carenza non si misura con il dosaggio ematico della forma attiva, infatti l’1,25 (OH)₂D non riflette l’effettivo stato della vitamina perché ha un’emivita troppo breve — circa quattro ore – e i suoi livelli nel sangue periferico sono 1000 volte inferiori a quelli del 25(OH)D, considerato il miglior indicatore sierico con un’emivita di due-tre settimane. Le linee guida definite dall’US Endocrine Society individuano come deficienza un livello sierico di 25(OH)D inferiore a 20ng/ml (50nmol/l) e una carenza nell’intervallo tra 21 e 29ng/ml. L’UL (upper level) — limite massimo per non incorrere in effetti avversi — è fissato a 100ng/ml.

Il meccanismo molecolare d’azione del calcitriolo è mediato dal legame al recettore nucleare ad alta affinità VDR, espresso in molti tessuti periferici e nelle cellule dell’immunità come i macrofagi, le cellule dendritiche e i linfociti T e B.

Il metabolismo della vitamina D può essere influenzato da vari fattori:

  • ambientali — esposizione al sole, uso di creme solari protettive che impediscono la fotoconversione, pigmentazione della pelle e abbigliamento;
  • fisiologici — età, indice di massa corporea, volume extracellulare;
  • genetici — polimorfismi di geni coinvolti nella sintesi dei recettori o di enzimi;
  • individuali — fumo, patologie o terapie farmacologiche che ne limitano l’assorbimento o la trasformazione.

I livelli di radiazioni UV-B sono un fattore molto importante per definire eventuali stati di carenza. L’azione dei raggi cambia in base alla latitudine, alla stagione e all’ora, tanto che avremo picchi massimi di fotoconversione nelle zone vicino all’equatore, in estate e nelle ore centrali della giornata.

Una delle prime indicazioni dell’esistenza di un’associazione tra vitamina D e disordini della funzione immunitaria è emersa in seguito a studi ecologici in cui si riscontrava una variazione geografica della prevalenza della sclerosi multipla (SM) direttamente proporzionale alla distanza dall’equatore in entrambi gli emisferi. Gli studi osservazionali successivi hanno confermato l’aumento del rischio di SM in associazione a una minore esposizione solare e a livelli più bassi di 25(OH)D nel siero. Inoltre l’esposizione durante l’infanzia è risultato un fattore più significativo per l’aumento del rischio di malattia in quanto, in base a studi di migrazione, è emerso che lo spostamento da un Paese a più alta incidenza di SM a uno a più bassa, dopo i 15 anni di età, non abbassava il rischio, contrariamente a un trasferimento in età prescolare. Diversi studi hanno in seguito correlato l’aumento della latitudine con l’incremento della prevalenza di altre patologie quali diabete di tipo 1, vasculiti autoimmuni, IBD (Inflammatory Bowel Disease) e asma.

Un esempio di correlazione tra patologie autoimmuni e alterazioni genetiche del metabolismo della vitamina D è rappresentato dal suo coinvolgimento nelle patologie tiroidee, proposto negli anni ottanta, quando Mc Donnel et al. in seguito ad alcuni studi trovarono un forte omologia tra la struttura molecolare della vitamina D3 e il recettore per gli ormoni tiroidei. Studi su umani hanno valutato l’associazione tra polimorfismi nel gene VDR o nel gene CYP27B1 (che codifica l’enzima coinvolto nell’idrossilazione a livello renale) e il rischio di sviluppare tiroiditi autoimmuni. La vitamina D, nella sua forma attiva, ha infatti effetti immunomodulatori ed è capace di innescare sia la risposta immunitaria innata sia quella adattativa e di indirizzare il sistema verso la tolleranza immunitaria, in modo da evitare risposte autoimmuni.

Le basi molecolari con cui la vitamina D è coinvolta in queste patologie ancora non sono completamente note e altri studi devono essere condotti per stabilire se il deficit vitaminico possa essere un fattore chiave nella patogenesi o solamente una conseguenza della patologia. Tuttavia, considerando che prevenire è meglio che curare, insegnare ai bambini a mangiare in modo corretto ed equilibrato e a fare attività all’aria aperta rappresenta il miglior mezzo per migliorare la salute delle generazioni future.

 

Dottoressa Giovanna Pitotti

 

Fonti: