Allergie e cross-reattività: possibili effetti di alcuni alimenti.
29/04/2016Frutta secca
29/04/2016Questo articolo è stato pubblicato su: La Scuola di Ancel, Un sito di Biologi Nutrizionisti, per una corretta informazione alimentare (Clicca qui).
Illustrazione di Gianluigi Marabotti.
Quale deve essere l’approccio dietetico agli acidi grassi, quanti se ne possono assumere e qual è la migliore combinazione tra di essi?
La relazione tra acidi grassi saturi e rischio cardiovascolare emerse dagli studi pionieristici degli anni cinquanta di Ancel Keys (The seven countries study) che dimostrarono come i livelli dei grassi animali assunti fossero un fattore di rischio aterogenico.
Inizialmente l’American Heart Associationindividuava in 1:1:1 il rapporto tra acidi grassi saturi (SFA — satured fatty acids), monoinsaturi (MUFA — monounsatured fatty acids) e polinsaturi (PUFA — polyunsatured fatty acids). Bilanciamento inquadrato come l’ideale per generare il miglior profilo lipoproteico e il miglior rapporto tra le frazioni LDL/HDL (indicatore per il rischio cardiovascolare). Molti studi hanno indicato che gli SFA generano un incremento del colesterolo totale e della frazione lipoproteica LDL mentre i PUFA (per esempio quelli della serie omega-3) hanno un effetto opposto. Per questo motivo, le indicazioni attuali dell’AHA consigliano un introito di SFA inferiore al 10% delle calorie totali ingerite.
All’interno dei grassi saturi esistono però delle differenze. L’acido stearico (C 18:0) ha un effetto neutro sul colesterolo ematico, l’acido laurico (C 12:0) e l’acido miristico (C 14:0), presenti soprattutto nel latte, nell’olio di cocco e nell’olio di palmisto, innalzano i livelli di LDL in modo importante. Considerando l’influenza sul profilo delle lipoproteine, l’acido palmitico (16:0) può considerarsi intermedio perché rimane neutrale se presente in una molecola di trigliceride insieme a catene di acidi grassi monoinsaturi, polinsaturi o acido stearico, mentre risulta particolarmente aterogenico se abbinato ad acido laurico o miristico.
Negli ultimi anni, per diverse tipologie di lavorazioni, l’industria alimentare ha sostituito gli acidi grassi saturi con gli acidi grassi trans (TFA — trans fatty acids). Questi ultimi — ottenuti attraverso l’idrogenazione di oli vegetali – sono risultati maggiormente dannosi in quanto capaci non solo di innalzare la frazione LDL, ma di diminuire quella HDL portando a un incremento esagerato del rapporto LDL/HDL che, come è risaputo, aumenta il rischio di incidenti cardiovascolari.
In conclusione, la raccomandazione generale è quella di evitare gli acidi grassi trans e non esagerare con i grassi saturi nell’alimentazione. Allo stesso tempo però i grassi saturi non devono essere aboliti totalmente per non squilibrare il rapporto LDL/HDL e per non portare alla possibile formazione di LDL più dense e aterogeniche. Quindi, seguendo le linee guida dell’American Heart Association (AHA) e del National Cholesterol Education Program (NCEP), condivise anche dai nostri LARN, la quota di lipidi assunti con l’alimentazione deve aggirarsi intorno al 30%, senza mai salire oltre il 40% o scendere al di sotto del 20%. Una giusta modalità di intervento è costituita da una scelta consapevole e moderata degli acidi grassi saturi naturalmente presenti nei cibi, la preferenza nei condimenti dell’olio extravergine di oliva e un aumento dell’introito di acidi grassi polinsaturi della famiglia omega-3 (presenti per esempio nel pesce azzurro e nei semi di lino), abitudini che mantengono bilanciato il rapporto SFA:MUFA:PUFA e generano il miglior profilo lipidico.
Dottoressa Giovanna Pitotti
Fonti:
- Hayes KC — Dietary fat and heart health: in search of the ideal fat — Asia Pac J Clin Nutr. 2002;11 Suppl 7:S394-400
- Krauss RM, et al. — AHA Dietary Guidelines: revision 2000: A statement for healthcare professionals from the Nutrition Committee of the American Heart Association — Circulation. 2000 Oct 31;102(18):2284-99