La Tiroidite di Hashimoto, è una tra le patologie autoimmuni più diffuse. Il concetto chiave è che molte persone che hanno la tiroidite di Hashimoto non presentano sintomi evidenti. I sintomi sono comuni ad altre condizioni: fatica, umore basso, difficoltà di memoria, di focus o di attenzione (il cosiddetto brain fog), costipazione, ma il risultato finale è un senso di malessere generale.
La tiroidite di Hashimoto spesso viene diagnosticata dopo molti anni perché non è infrequente che i sintomi di ipotiroidismo si sviluppino dopo molto tempo. La patologia autoimmune c’è ma non essendo stato distrutto il tessuto tiroideo non si sono sviluppati i sintomi della disfunzione tiroidea (stadio 1).
La tiroidite di Hashimoto ha tre stadi principali:
La tiroidite di Hashimoto, così come tutte le patologie autoimmuni, è caratterizzata da fasi di remissione e fasi di riacutizzazione. L’obiettivo del trattamento funzionale è quello di far sì che le fasi di remissione siano sempre più lunghe affinché la distruzione del tessuto tiroideo ad opera degli anticorpi sia limitata. Nelle fasi acute, se l’attacco anticorpale è importante, la distruzione cellulare (dei tireociti) genera un aumento improvviso della quota di ormoni tiroidei nel sangue con conseguente diminuzione del TSH e sintomi di ipertiroidismo: tremori, nervosismo, ansia, aumento della velocità del transito intestinale. La condizione è transitoria ed è seguita da possibili fluttuazioni dei livelli di TSH (in base allo stato di remissione o riattivazione della reazione autoimmune) che terminano quando si instaura l’ipotiroidismo franco per deficit di funzione della ghiandola dovuta a massiccia distruzione del tessuto tiroideo.
Se si considerano i pathways fisiologici si possono evidenziare diversi punti critici nel processo fisiopatologico: la distruzione del tessuto ad opera degli anticorpi, il deficit di conversione e problemi a livello dei tessuti bersaglio per alterata risposta recettoriale dovute al carico della risposta infiammatoria cronica.
Ci sono vari meccanismi coinvolti nell’Hashimoto e in ogni persona ciascuno di questi meccanismi può avere più o meno influenza sulla presentazione dei sintomi.
Vediamo quali possono essere i possibili triggers:
L’approccio funzionale è vincente, rispetto a quello tradizionale, perché va ad indagare le cause scatenanti alla radice della patologia (root causes) e i vari sistemi biologici implicati in essa.
Una domanda che mi viene spesso fatta: Si può “guarire” da una patologia autoimmune? Ho una notizia buona e una cattiva, iniziamo da quest’ultima: la risposta è no, non si guarisce, il nostro obiettivo è agire su quelli che si chiamano “relapses and remissions” ossia periodi di riacutizzazione e remissione, cercando di evitare o dilazionare il più possibile le ricadute. La notizia buona? Star bene si può! Come? Affrontare la patologia con un approccio a 360 gradi è l’unica arma vincente, quindi rimbocchiamoci le maniche ed agiamo in maniera integrata con la giusta alimentazione e integrazione,l’ igiene del sonno, la gestione dello stress, l’attività fisica, e la rimozione dei possibili trigger.
Dott.ssa Giovanna Pitotti